
Si definisce un “macellaio fuori dagli schemi con l’ambizione di distinguermi”, e con le sue azioni dimostra certamente un approccio innovativo e professionalmente competente. Studio e esperienza sono le sue armi, al pari di un buon coltello. La curiosità e l’istinto a imparare l’hanno guidato verso un tipo di macelleria vocato a soddisfare una clientela che apprezza l’esperienza del gusto e, per molti, Macelleria da Carlo a Genova è diventata sinonimo di specialità e carni eccellenti, italiane ed estere. L’arte della frollatura è nelle corde di Carlo Ferrando e gli abbiamo chiesto la sua opinione e cercato di captare i suoi consigli da esperto.
“Non so se a proposito di frollatura ci sia un po’ di confusione, oggi, tra i consumatori e in generale – afferma Carlo Ferrando – in realtà penso che non ci sia mai stata una dichiarazione ufficiale in merito e delle linee guida, se non l’esempio di alcune prove di campionatura fino a 3 mesi di frollatura. Qualcuno si è spinto fino a campionature prolungate oltre queste tempistiche ma sono sempre stati esperimenti personali. Io stesso ho praticato frollature di 60/80 giorni perché alcuni clienti le richiedevano ma oggi ho standardizzato il processo intorno a 30/45 giorni, al massimo e raramente 50. Stagionature troppo lunghe non convengono per diversi motivi: innanzitutto, a livello di calo peso la perdita è notevole e aumenta il prezzo del prodotto finale che diventa troppo alto: non a tutti si può vendere della carne a 100 euro al kg. Inoltre, bisogna tenere conto anche dello scarto e dello spreco che ne conseguono: non si può utilizzare tutta la carne perché la parte esterna deve essere rifilata accuratamente. Buttare via la merce è uno spreco che non tollero; in questi casi non basta togliere solo il velo esterno, è necessario rifilare il cosiddetto ‘tappo’ allo scopo di ottenere un prodotto bello a vedersi, gradevole all’olfatto, completamente e perfettamente edibile e questo vuol dire buttarne via una parte consistente, non è accettabile”.
Carlo Ferrando è esperto nell’arte della frollatura da diversi anni e non ha trascurato di studiarne gli effetti e le pratiche: “Ho provato, solo a livello di esperimento, a fare frollature fino a 1 anno, campionature effettuate allo scopo di verificare le cariche batteriche e lo sviluppo di ammine, e ho potuto verificare che non si ottiene un buon prodotto. La carne non è un bullone che resta sempre lo stesso, e non tutte le carni sono uguali. Per ogni bistecca occorre trovare il punto giusto di frollatura, affinché possa dare la sua massima espressione, il giusto punto di gusto, di tenerezza. Non è detto che 60 giorni di frollatura siano meglio di 30, resta sempre un processo soggettivo e soggetto a numerose varianti che solo il professionista può valutare in base alla sua esperienza e gestire adeguatamente”.
L’utilizzo di apparecchiature e strumenti adatti allo scopo, inoltre, e utilizzarli correttamente, è indispensabile. Spiega Carlo Ferrando: “L’armadio vetrina è un ottimo strumento di esposizione se gestito correttamente ma la camera è piccola e quando si aprono spesso le porte si verificano troppe variabili. La cella di maturazione è più idonea perché permette di controllare la temperatura e l’umidità. Nel mio locale ho due celle grandi dove conservo la maggior parte della merce e due vetrine di maturazione in negozio che utilizzo solo per l’esposizione breve della carne, perché il cliente ama vederla. La cella è più stabile, le porte vengono aperte più raramente e perde meno umidità e temperatura. È certamente più affidabile. Documento il processo passo dopo passo e mantengo un range di temperatura molto basso affinché si sviluppi pochissima carica batterica: l’ideale secondo me è intorno a 0,5°C ed è questa la temperatura che imposto, praticamente quasi a 0. Quando si apre la porta, in questo modo, la temperatura sale leggermente – da 0 a 1,5°C – ma rimane in media stabile al di sotto di questo livello. I raggi ultravioletti, poi, garantiscono ulteriore sicurezza. Quando si lavora a temperatura più elevata si accelera il processo, è vero, ma è anche vero che si generano più batteri. Fra le due alternative preferisco la sicurezza”.
Non è un processo che permette improvvisazione, dunque, e Carlo Ferrando lo conferma. Occorre preparazione, professionalità e le giuste attrezzature: “Consiglio sempre – aggiunge Ferrando – ai miei clienti ristoratori, di usare la cella di frollatura, di non mettere la carne sottovuoto ma lavorare a secco e, soprattutto, di non mischiare gli alimenti nella cella e tenere separati formaggi, salumi, verdure o pesce. Il controllo della ventilazione e della temperatura sono fondamentali e la cella deve essere sempre fornita perché quando è troppo vuota l’umidità si abbassa. Poi, in esposizione, è certamente bello un armadio con le carni esposte: sia in un negozio sia al ristorante la vetrina è un’attrattiva per il cliente che vuole vedere quello che sceglie; è un’immagine che trasmette professionalità”.
L’esperienza del macellaio è fondamentale, la sensibilità di capire il giusto punto di maturazione anche, non basta mettere in cella un prodotto di qualità, requisito indispensabile, bisogna saperlo trattare, spiega Ferrando: “La frollatura, ma del resto tutto il processo di lavorazione delle carni, è una catena che non può interrompersi. L’intera filiera è coinvolta: la genetica del bovino, la gestione dell’animale, la macellazione senza stress e il trasporto della merce. Quest’ultimo fattore viene spesso sottovalutato ma se durante il trasporto la carne patisce perché scarica umido nel cartone prima che in cella le sue proprietà cambieranno; insomma ci vuole una cura particolare in ogni fase”. Resta un prodotto per intenditori, e qui Carlo fa una precisazione: “Dobbiamo educare il cliente e insegnargli a capire e apprezzare questo tipo di carne. Oggi, spesso, qualcuno l’acquista perché fa tendenza ma poi non è in grado di valorizzarne le peculiarità. Se il gusto e l’aroma sono troppo intensi, se la carne è troppo frollata e non viene cotta nel modo giusto (una cottura semplice è l’ideale) il cliente poco avvezzo potrebbe restare deluso. Sta a noi macellai informarlo adeguatamente e consigliarlo, accompagnarlo per gradi alla degustazione, preparare il suo palato. Quando si hanno grandi aspettative, restare deluso è tremendo: è un prodotto costoso, inoltre, e in quel caso il cliente deluso non tornerà”.
M.C
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