
Capita talvolta sui salumi affettati stagionati a muscolo intero (tipo prosciutto, speck, culatte, lonzini, bresaole) e anche meno frequentemente in quelli cotti di manzo come roastbeef e pastrami, di trovare delle parti iridescenti, sia sulle fette tagliate fresche dal salumiere, che in quelle di affettati in vaschetta. Tale fenomeno è più evidente sulla superficie magra del taglio.
Il consumatore si chiede quale origine possa avere questa colorazione e non sa darsi una risposta, magari pensa a una qualche forma di deterioramento e si preoccupa. Del resto poiché la decisione di acquisto è guidata principalmente dalla prima impressione del colore e dell’aspetto della carne, i prodotti che mostrano iridescenze colorate potrebbero essere rifiutati.
La questione ha una spiegazione scientifica e non ci deve preoccupare (c’è una casistica di letteratura scientifica piuttosto ampia che tratta l’argomento), perché non rappresenta né un fenomeno di contaminazione di origine batterica né di degrado chimico.
Sappiamo che il colore della carne è principalmente determinato cromaticamente dal contenuto di pigmento eme della mioglobina, che in un salume stagionato assume la colorazione rossa bruna caratteristica, legandosi alle molecole di nitrito (usato anche come conservante) a formare un legame stabile. Tuttavia c’è anche un aspetto acromatico legato all’incidenza della luce e alla sua dispersione da parte della microstruttura muscolare. Gli studi evidenziano come l’iridescenza cromatica a cui si assiste dipenda in primo luogo proprio dalla luce e dall’angolo di osservazione, e quindi dall’orientamento della carne.
Si tratta quindi di un fenomeno naturale, che è tecnicamente indicato come birifrangenza o doppia rifrazione. È causato dalla riflettanza della luce sulle proteine muscolari ed è analogo alla distribuzione del colore prodotta da un prisma. Le proteine muscolari sono disposte in filamenti chiamati miofilamenti, che sono legati insieme per formare miofibrille. Le miofibrille sono legate tra loro per formare fibre muscolari, che si formano insieme per formare fasci muscolari e infine muscoli interi. Quando i miofilamenti vengono tagliati con un angolo appropriato, esponendo una sezione trasversale dei miofilamenti, la riflettanza della luce sulle proteine produce l’aspetto caratteristico associato all’iridescenza.
Praticamente, dopo che il salume è stato affettato, le estremità tagliate delle fibre formano una serie di scanalature. La luce bianca sappiamo che è composta da uno spettro di colori diversi e ognuno di questi colori ha una lunghezza d’onda specifica. Quando la luce bianca colpisce le scanalature sulla superficie di una fetta di salume, parte della luce viene assorbita e parte viene riflessa. Ogni onda di colore componente della luce riflessa si piega ad un angolo diverso a seconda della sua frequenza particolare. Il risultato di questa diffusione delle onde di colore è un caleidoscopio o un effetto iridescente.
La riflettanza dipende dal fatto che le fibre muscolari al taglio siano strutturalmente integre e perfettamente allineate. Questo è il motivo per cui è molto più probabile che si veda questo effetto iridescente sulla carne stagionata (talvolta su quella cotta) rispetto alla carne cruda. La carne stagionata ha una consistenza più soda e dura e la struttura della fetta mantiene bene la sua forma perché le fibre muscolari sono più compatte. La carne cruda, invece, è più morbida e delicata, e le estremità delle fibre si aprono facilmente quando viene tagliata, il che significa che la luce viene riflessa in modo casuale senza dar luogo ad arcobaleni.
Perché questo fenomeno però non si evidenzia in tutti i salumi ma solo in alcuni? Dipende dal colore della carne in sé e dalla struttura. È più probabile che l’iridescenza la si ritrovi in carni cotte scure di manzo come il roast beef, il manzo cotto e il pastrami, e in carni salate a pezzo intero come prosciutti la cui fetta rimane più brillante al taglio. Il tacchino e il pollo hanno carni troppo pallide per mostrare questa brillantezza; anche la carne macinata il cui trito viene impastato con il grasso e insaccato per fare il salame, non avrà più le fibre allineate correttamente per diffrangere la luce. Anche il modo in cui gli arrosti di carne vengono affettati al banco gastronomia o prima di essere confezionati in vaschetta è fondamentale per la formazione dell’iridescenza: solo i tagli controfibra o perpendicolari alla direzione delle fibre della carne mostrano iridescenza (per il manzo questi tagli sono il roast beef e il pastrami. Del suino solo lo speck si taglia controfibra ma questo salume rientra tra gli stagionati).
Talvolta può essere anche “colpa” dell’affilatura della lama: se questa è ben affilata, più netto sarà il taglio, più liscia sarà la superficie della fetta e più probabile la formazione dell’iridescenza.
Il contenuto di grasso può limitare l’effetto diffrangente della luce: è improbabile che un taglio di carne particolarmente grasso o uniformemente marmorizzato possa creare un effetto iridescente, perché non ha la struttura per riflettere la luce.
Non è secondario rilevare infine che il fenomeno della iridescenza della carne è tanto più evidente quanto minore è lo stato di idratazione della stessa e come tale non può essere di derivazione microbica. Ciò è legato al calo peso e significa che il fenomeno è inversamente proporzionale all’attività dell’acqua dell’alimento da cui dipende o meno la crescita batterica: in un salume stagionato in cui il calo peso comporta una diminuzione dell’acqua libera, la causa di alterazione del colore della fetta ne esclude di fatto l’origine batterica.
Poiché la diffrazione è un fenomeno puramente fisico e non ha nulla a che fare con la crescita microbica, il salume iridescente non presenta assolutamente alcun rischio per la sicurezza, né ha alcun effetto sul gusto.
Però questo potrebbe non essere sempre il caso della carne cruda, che occasionalmente può mostrare iridescenze. Le carni crude sono più soggette alla contaminazione batterica e un bagliore colorato potrebbe essere causato dalla luce riflessa su una pellicola superficiale di liquido prodotto dai microbi. Si può determinare empiricamente se non è sicura: basta pulire la superficie della carne con un tovagliolo e se la lucentezza scompare è più probabile che la carne contenga microbi. In questo caso si dovrebbero anche sentire odori di inizio della putrefazione e pertanto va scartata.
G.L. Pastori – da Ingegneria Alimentare Le Carni
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